Tra i trend che riguardano il mondo dei dati è significativo il ritorno d’interesse per la self-service analytics, ossia per gli strumenti che abilitano management e utenti delle line of business (LOB) a crearsi da soli le analisi di cui hanno bisogno.
Tra i trend che riguardano il mondo dei dati è significativo il ritorno d’interesse per la self-service analytics, ossia per gli strumenti che abilitano management e utenti delle line of business (LOB) a crearsi da soli le analisi di cui hanno bisogno.
I concetti di self-service analytics, che non sono nuovi a chi ha sperimentato negli anni piattaforme come Cognos o Microstrategy, hanno trovato nuovo vigore grazie all’importanza che i dati hanno oggi assunto in tutte le attività aziendali e alla necessità di fruirne in tempi più rapidi per averne dei vantaggi. Le attività decisionali non sono più compatibili con i tempi che sono necessari per richiedere all’IT le estrazioni dei dati da elaborare, darli in mano agli specialisti e quindi attendere la pubblicazione finale dei report: i risultati giungerebbero quando lo scopo è esaurito. Ecco perché serve la self-service analytics, a patto realizzarla in modo corretto e scegliere gli strumenti più appropriati.
La self-service analytics entra in gioco laddove c’è l’esigenza ricorrente di fare analisi complesse.
Per evitare equivoci, diciamo subito che realizzare la self-service analytics non significa abilitare gli utenti delle LOB ad accedere e analizzare in modo diretto tabelle o colonne presenti sui database e datawarehouse aziendali. Benché questo sia possibile con l’impiego di potenti appliance database e tool end user come Power BI o Tableau, è un approccio che non dà valore di business. Questo perché l’accesso a centinaia di tabelle dati operative (non specificamente progettate agli scopi dell’analisi) è inutile senza la conoscenza delle logiche che le uniscono tra loro e degli indici utilizzati. Realizzata in questo modo, la self-service analytics è come un parco giochi per bambini privo dell’indispensabile recinto di protezione da ciò che non serve al gioco e che invece può rappresentare un pericolo.
Ampliando l’accesso all’analisi dei dati, sorge inoltre il problema di garantire prestazioni adeguate agli utilizzatori senza incidere su quelle operative. Investimenti in risorse IT on premise e potenti appliance database non servono a molto se le implementazioni della self-service analytics non sono accompagnate da una revisione del modello dei dati.
Al pari della business intelligence (BI) anche la self-service analytics richiede una modellazione dei dati appropriata, molto diversa da quella che caratterizza le basi dati utilizzate per scopi operativi dalle applicazioni. L’efficace fruizione in self-service ha bisogno di un modello dati denormalizzato, ossia contenente dati aggiuntivi e ripetuti che hanno lo scopo di rendere le tabelle più facili da comprendere.
Sempre per facilitare gli scopi d’analisi all’end-user è preferibile poter disporre di un’unica grande tabella con tutti i dati utili piuttosto che un’infinita collezione di tabelle dalle quali dover raccogliere e collegare anagrafiche clienti, ordinativi, fatture pagate e così via.
Rispetto alla BI tradizionale, realizzata con datamart e cruscotti sintetici con i KPI (Key Performance Indicator) aziendali, la self-service analytics offre la capacità di poter fornire anche i dati più grezzi e dettagliati. Inoltre, sempre paragonata alla BI, che utilizza strutture dati multilivello senza dettagli, la self-service analytics permette di scavare più in profondità a partire da strutture dati denormalizzate.
Un po’ come i minatori dell’Ottocento nel lontano Klondike cercavano l’oro scavando la roccia e cercando indizi per arrivare alla vena che avrebbe cambiato il loro destino, così oggi le aziende devono analizzare una mole immensa di dati per giungere all’informazione vitale, che permetterà di indirizzare il business nella direzione più proficua. Ma il percorso per arrivarci comprende dati, analytics e, quindi l’insights: vediamo in dettaglio che cosa si intende.
Innanzitutto, i dati sono una raccolta di fatti che rappresentano misurazioni o descrizioni di una situazione specifica. Possono assumere la forma di numeri, simboli o parole e sono in genere memorizzati in formato digitale. I dati grezzi, noti anche come dati di partenza o dati primari, sono fatti e cifre nella forma e nell'organizzazione originale in cui sono stati raccolti dalla fonte.
Oggi nelle aziende tutte, o almeno la grande parte, delle informazioni sono digitali; motivo per cui le organizzazioni hanno a disposizione un’enormità di dati grezzi. È necessario poterli raffinare, ripulire delle informazioni inutili, raccoglierli in insiemi coerenti e confrontarli. In pratica, per poter passare alla loro analisi efficace, i dati grezzi devono essere trasformati in informazioni pulite e pronte per il business attraverso un processo chiamato data integration.
Ecco allora che l’analytics è quella metodologia che, attraverso strumenti e processi, combina ed esamina gli insiemi di dati per poter identificare dei modelli, delle relazioni e delle tendenze. L'obiettivo dell'analytics è rispondere a domande specifiche, portare alla luce intuizioni e aiutare le aziende a prendere decisioni migliori, data driven.
Attraverso i tool di data analytcs è quindi possibile esplorare grandi insiemi di dati che combinano dati rilevanti provenienti da più fonti, per poter non solo rispondere alle domande specifiche da cui si è partiti, ma anche scoprire nuove domande da porre. In pratica, si arriva in uno stato di conoscenza profonda della situazione che permette di andare oltre e identificare la “vena”, la strada dell’oro su cui procedere.
Eccoci quindi arrivati agli insights, termine con il quale si identifica uno schema nei dati o una relazione tra variabili di cui non si conosceva l'esistenza ma che si percepiva, grazie alla comprensione del contesto globale in cui ci si sta muovendo.
L’implementazione della self-service analytics è oggi resa più facile dalla disponibilità di servizi in cloud che permettono d’isolare i workload e usare le stesse basi dati sia per gli scopi computazionali analitici sia per quelli operativi. Con un buon disegno dell’architettura diventa possibile democratizzare l’accesso alle capacità analitiche senza rischiare gli impatti negativi sulle prestazioni operative.
Attraverso il cloud, management aziendale e utenti LOB possono ottenere in autonomia e con il livello di dettaglio desiderato le analisi di cui hanno bisogno. Un’esigenza, quella della self-service analytics, che è strutturale nelle aziende sollecitate dal mercato a individuare nuove opportunità di business, a fronte di una BI che riesce a offrire supporti adeguati alle sole attività già in essere.
Con l’impiego del cloud diventa inoltre possibile costruire aree analitiche ad alta frequenza d’aggiornamento a vantaggio delle attività che beneficiano delle capacità d’analisi dati in near real-time.