Le aziende hanno raccolto un’enorme quantità di dati, da cui poter trarre insight utili per il decision making. Ma per ottenere un’efficace data driven strategy è bene seguire precise best practice. Ci suggerisce quali l’esperto in analytics Marco Liberati di SDG Group.
Oggi diverse aziende raccolgono una gran mole di informazioni, ma non sono ancora molte quelle che dispongono di una precisa data driven strategy. Così, invece di essere usati per la crescita dell’organizzazione e per migliorare il decison making, i dati raccolti rimangono inutilizzati nei cruscotti e nei database finché si esaurisce il valore che possono esprimere, diventando in questo modo inservibili.
Secondo i dati forniti da Statista, la quantità totale di dati creati, catturati, copiati e consumati a livello globale ha raggiunto i 64,2 zettabyte nel 2020. Nei prossimi tre anni, fino al 2025, Statista prevede che la creazione globale di dati crescerà fino a superare i 180 zettabyte. Ricordiamo che 1 zettabyte equivale a 1 triliardo di byte ovvero 1021 byte.
Quantità davvero impressionanti che, per poter essere gestite e soprattutto analizzate, necessitano di strumenti adatti. Infatti, per prendere decisioni oggi non basta più basarsi su sensazioni, opinioni o esperienze: serve un’accurata data driven strategy, una strategia che utilizzi i dati per ottenere utili insight da usare nelle decisioni aziendali.
Per affrontare efficacemente l’incerta e variabile economia attuale bisogna poter attuare un preciso decision making. Ma come fare? Che strada seguire?
Per trovare le risposte a queste domande ci siamo fatti aiutare da Marco Liberati, Partner di SDG Group, esperto di analytics che propone 6 best practices per migliorare il decision making.
Il concetto di frictionless è legato a ciò che succede tipicamente ogni giorno in azienda. Avere processi manuali implica la probabilità di fare degli errori, come succede nell'office finance, in cui molte persone lavorano su Excel, su e-mail o su procedure non automatizzate (come ciclo attivo, passivo o reporting mensile). E questo può comportare costi importanti per l'azienda. Un'automazione smart di questi processi, una Robotic Process Automation (RPA), porta ad affidare a dei robot compiti che venivano svolti dalle persone, liberando del tempo ai decision maker che possono così focalizzarsi su aspetti più core.
I tool più recenti permettono di aggiungere una conoscenza nuova a un processo, quale per esempio le pianificazioni che fanno tutte le aziende. Oggi, grazie al machine learning e all’artificial intelligence, è possibile fornire un nuovo punto di vista al pianificatore, come può essere il board director che redige un business plan o stabilisce un budget. Questo può essere fatto attraverso funzionalità che prendono il nome di date-driven insight o intelligent discovery, ma che in realtà sono strumenti di pianificazione e controllo che supportano i processi interni alle aziende e che, a partire esclusivamente dal dato, forniscono informazioni.
La simulazione e la pianificazione sono sempre meno legate alla sensazione degli individui e sempre di più a qualcosa di oggettivo. “Questi strumenti evoluti – sottolinea Marco Liberati – hanno funzionalità adatte a dar vita a data driven strategy che supportino le persone nel decision making, fornendo una prospettiva più collegata a fatti concreti piuttosto che a una sensazione o a un'opinione”.
Tutto quanto fatto prima della pandemia potrebbe non essere più allineato con il business attuale. Lo stesso vale per gli strumenti usati per analizzare le performance. Anche i driver non sono più quelli giusti. Modificare questi driver, per esempio per analizzare le performance dell’online rispetto al canale tradizionale, è un’attività che potrebbe, a livello di sistema gestionale, obbligare a intercettare i fenomeni aziendali in maniera diversa, cosa che costa tempo e denaro. Quindi anziché stravolgere il sistema gestionale stesso, che guida i processi core dell'azienda, è possibile fare le modifiche di impostazione usando strumenti di Corporate Performance Management (CPM). Questi permettono di cambiare i KPI, le gerarchie, i modelli, le dimensioni in maniera rapida e flessibile. In altre parole, i tool per il CPM consentono di modificare il proprio punto di vista sull’organizzazione senza dover modificare il sistema gestionale e i sistemi transazionali, che tipicamente sono più rigidi e meno flessibili. “Gli strumenti smart per il CPM – afferma Marco Liberati – aiutano ad reagire in maniera molto veloce. Questo però significa cambiare le fonti dei dati, il modo in cui si portano tali dati all’interno del data lake e come si veicolano verso il reporting e le analitiche. Tale processo implica molto spesso di passare da un ambiente basato su Microsoft Excel a strumenti più capaci, che consentano di ipotizzare e simulare più scenari diversi”.
Molte organizzazioni hanno investito nel concetto dei big data e si trovano ad avere terabyte di dati. Il challenge è di ottenere valore da queste informazioni.
Le nuove soluzioni di analytics permettono di combinare i big data con i dati finanziari tipici della contabilità e i dati esterni all'azienda per creare un data lake integrato, ma affidabile, che consenta di prendere decisioni più efficaci che non vengano semplicemente dalla spiegazione finanziaria dei fenomeni, ma che siano collegate agli aspetti più operativi. Bisogna perciò avviare un percorso che porti a prendere decisioni basate su un mix di informazioni contabili, operative ed esterne all’azienda. Un percorso in cui la qualità del dato gioca un ruolo fondamentale.
“Le aziende si trovano in momenti diversi all’interno di questo journey – precisa Marco Liberati –. Ad esempio, banche e assicurazioni, che hanno sempre utilizzato i big data in maniera più strategica e meno tattica, oggi sono più avanti. Le società di retail, fashion e luxury, invece, sono solitamente più indietro e quindi la qualità dei dati è di livello inferiore. Un discorso analogo vale per le aziende più piccole, che spesso hanno meno vantaggi proprio a causa della limitata qualità dei dati. Si può però intervenire per migliorare i risultati”.
Le fonti sono di più quantitativamente e sono diverse qualitativamente. Inoltre ci sono driver, anche esterni all'azienda (come il prezzo delle materie prime, le currency o i tassi di inflazione), che prima non erano parte dei modelli di simulazione mentre oggi lo sono. Per la velocità con cui si muove il contesto internazionale, i modelli usati per eseguire simulazioni sulla profittabilità, che poi sono gli obiettivi principali del board of director, devono includere leve che non venivano utilizzate prima.
“Le simulazioni sulla profitability fino a qualche anno fa si potevano fare con Excel, poiché i driver su cui fare what if erano meno – sostiene Marco Liberati –. Oggi si devono usare strumenti più sofisticati. Questi strumenti forniscono funzionalità come la simulation tree, le parametrizzazioni visuali e gli scenari che permettono di gestire la nuova complessità. In più, consentono di fare efficaci simulazioni sulla profitability, che poi è quella che genera il cash, la linfa di sopravvivenza dell'azienda”.
Il tema sostenibilità è un aspetto chiave per il tema regulatory. Sempre più spesso è obbligatorio produrre report che mostrino come un’azienda agisce in maniera sostenibile sia in termini ambientali sia etici. Questo si ottiene riunendo informazioni che provengono da molteplici fonti. Quindi, sempre di più il tema della sostenibilità è collegato alla raccolta efficace e alla presentazione del dato. In pratica, anche la sostenibilità è data driven perché le informazioni eterogenee che stanno dietro a un framework di sostenibilità, che devono parlare tra di loro, hanno bisogno di essere costantemente aggiornate e analizzate.
Una volta creato il processo che permette di fare del reporting su come si è sostenibili, disporre di una data driven strategy consente anche di fare delle simulazioni su come migliorare la sustainability stessa.
I dati importanti cambiano, i KPI cambiano e le dimensioni importanti cambiano. Bisogna essere rapidi nell'adattare gli strumenti rispetto a questi cambiamenti. Tante aziende sono efficaci nel raccogliere i dati ma la sfida è trasformare tali dati in insight per avere una valida data driven strategy. “Oggi i dati non spiegano più il profitto – conclude Marco Liberati – ma spiegano lo stato di salute dell’azienda”.